Il primo luglio del 1903 nasce il formidabile coprotagonista del nostro progetto, ma ci piacerebbe dire della nostra storia, Carlo Polacco. Sarà perché alcuni di noi lo ricordano dal palcoscenico del Teatro “La Fenice” di Venezia nella sua amata buca da souffleur, altri nello stesso teatro gli sono stati colleghi ed altri ancora allievi, sarà, ma a tutti coloro che l’hanno conosciuto, s’illumina lo sguardo nel percepire il gioioso privilegio di averlo potuto incontrare.
Toti Dal Monte e Carlo Polacco, cui vogliamo porre mente in occasione degli anniversari della nascita, hanno in comune non poche cose, in primis il talento e l’approccio precoce alla disciplina musicale e dei padri volitivi e pronti a ogni sacrificio per la cura di quelle doti, fino alla preparazione del temuto esame d’ammissione al Liceo Musicale di Venezia, entrambi per la Scuola di Pianoforte. Dovranno però passare vent’anni prima che Toti e Carlo s’incontrino, quando infatti quest’ultimo affronta la prova per essere ammesso ai corsi di “Teoria principale”, un brutto strappo al tendine del pollice della mano destra aveva da poco costretto la nostra Totina a rinunciare alle lezioni del grande pianista, e didatta, Gino Tagliapietra.
Altro evento che accomuna i nostri protagonisti è la rinuncia, per motivi diversi, alla formazione strumentale offerta loro per un quinquennio dalla celebre istituzione veneziana, il Liceo Musicale “Benedetto Marcello” divenuto Reale Conservatorio solo nel 1940. Antonietta Meneghel, Totina, sceglierà di affidarsi a Barbara Marchisio per lo studio del canto e Carlo Polacco, Carletto , a Gian Giuseppe Bernardi per la composizione e a Giovanni Frattini, il direttore d’orchestra che lo indirizza alla professione di maestro sostituto e maestro suggeritore, o souffleur come Polacco amava definirsi. Il talento non comune, unito alla modestia e alla costante applicazione di Antonietta e Carlo convinsero i loro Maestri a prenderne premurosamente in carico la formazione in modo tanto disinteressato quanto generoso; espresso in più occasioni tra le righe delle autobiografie dei due artisti, troviamo il loro sentimento di ammirazione e gratitudine nei confronti dei Maestri cui devono non solo la loro preparazione tecnico interpretativa, ma anche le preziose indicazioni su cui costruiscono il loro lungo percorso professionale.
Siamo certi che comprenderete l’utilizzo frequente dei nomignoli Toti e Carletto, ma anche Totina e Polacchetto, che resteranno loro appiccicati per tutta la vita: usati dai loro cari all’inizio forse solo come vezzeggiativi a indicare la loro bassa statura, ci sembrano descrivere affettuosamente i contorni dell’ innegabile, generosa simpatia, che caratterizzò il modo di porsi nei confronti degli altri dei nostri due Protagonisti. Ebbene sì, Toti Dal Monte e Carlo Polacco erano dotati di una formidabile empatia.
Carlo Polacco e Toti Dal Monte s’incontreranno soltanto nel settembre del 1931, a Conegliano, quando i loro percorsi professionali nel mondo del Teatro Musicale sono iniziati da tempo, per Toti con il successo che abbiamo cercato di descrivere e per Carletto in modo variegato e dinamico come fu tutta la sua esistenza. È proprio il pianista veneziano a recarsi nel palco del Teatro “Accademia” per omaggiare la Diva che assiste ad una recita di Rigoletto ed immaginate lo stupore nel sentirsi invitare, nel suo ruolo di accompagnatore pianistico, a trascorrere una settimana “lavorativa” nella Villa di Barbisanello.
Il temutissimo giudizio arriva alla fine della prima seduta di studio: Bravo, disse la Toti, lei sta bene al pianoforte, segue il canto, aiuta e ciò che conta di più, respira con il cantante, la soddisfazione per le osservazioni su questa prima prova da parte della grande interprete, celebre anche per il rigore musicale e interpretativo, rincuora Carlo, ma il bello deve ancora arrivare! Sarà durante la cena che giungerà una entusiasmante proposta di collaborazione per alcuni concerti che Toti e il marito, Enzo de Muro Lomanto, avrebbero tenuto nei Paesi Scandinavi di lì a qualche settimana, così racconta ancora il maestro Polacco: Ora, rincuorato dal lusinghiero invito, che accettai, non mi sentivo più timido. L’indomani corsi a Venezia ove stupii i miei genitori con la lieta novella; mi accordai, quindi, con il sarto e feci ritorno a Barbisanello. Lì, io, la Toti e il de Muro Lomanto preparammo scelti programmi per due concerti per la Svezia e la Danimarca. Entrambi mi dettero la soddisfazione di approvare l’ordine dei pezzi da me suggeriti per tener desta l’attenzione del pubblico.
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Nella cronologia della carriera del grande soprano nata a Mogliano Veneto nel giugno del 1893, troviamo nel mese di ottobre di quel 1931 un concerto nel suo paese natale e due in quello di elezione, Pieve di Soligo, di uno di questi Carlo ci parla, facendo cenno a vicende che sembrano di là da venire, vicende che altresì sono al centro del progetto IMPAVIDA DIVA.
Prima di partire per la Scandinavia accompagnai la Toti e il marito in un concerto a totale beneficio dei poveri di Pieve di Soligo, presenti molte autorità venute per l’occasione da varie città del Veneto, Venezia prima fra tutte. Ovviamente detti anch’io gratuitamente il mio apporto, conquistando la simpatia della popolazione che, memore, nel momento di pericolo per me nel 1943-44, mi protesse dall’ira dei tedeschi e dei fascisti.
Dopo questa affermazione di Carlo Polacco, dovremo soffermarci in particolare su alcuni capitoli del volume autobiografico “ Mi par di udire ancora,…” che Edizioni Helvetia pubblica 1987 con la cura di Giuseppe Tiso. Casa Editrice veneziana che ringraziamo per la grande disponibilità, davvero preziosa in questo nostro ricordo di quanto dovette subire questo “Piccolo, grande uomo” e del coraggio dimostrato da Toti Dal Monte, nei confronti di un musicista e della sua famiglia che dal Ghetto di Venezia ripararono a Barbisanello nel settembre del 1943.
Immagini tratte dall’archivio personale di Fabio Previati.
IMPAVIDA DIVA – 1893 LA FAMA – 1893 GLI AFFETTI – 1903 IO LA TOTI E – 1903 AVVENTURATISSIMO